Lettori fissi

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giovedì 19 marzo 2009

Confronto Marx-Heidegger

Ah, le marxisme! Il tema dell'alienazione nella nostra società è tuttora presente. Solo che è diventato prima culturale: noi siamo spossessati della nostra personalità, poi economico, come conseguenza dello stato di inferiorità in cui siamo messi.
Qual è l'origine dell'alienazione? Noi siamo sottoposti a un processo di reificazione dei nostri valori, della nostra identità. Tutto deriva dal prevalere della dimensione tecnica, secondo Heidegger, per cui il pensiero razionale passa dall'essere al funzionare. La ragione, che voleva conoscere il mondo, che voleva conoscere l'essenza delle cose, ha trovato il modo, con la rivoluzione scientifica, di spostare la domanda dal perché al come. In questo modo si è riusciti a costruire una conoscenza più efficace, e si è riusciti a conoscere effettivamente di più l'universo fisico, attraverso paradigmi matematico-formali. La conoscenza è divenuta più formale, ma più efficace. C'è stato però uno spostamento dall'antica dimensione umanistica a una dimensione più scientifico-tecnologica : la conoscenza è diventata più pratica, ma anche più fredda.
Questa conoscenza ha sviluppato un dominio sul mondo, ha permesso all'uomo di dominare il globo. Secondo Heidegger, però, nel momento in cui diamo la prevalenza alla tecnica, noi rischiamo di essere agiti dalla tecnica: è la tecnica che usa noi, e non il contrario.
Possibile critica al marxismo: l'origine dell'alienazione sicuramente è nella divisione del lavoro, ma la ragione di questa organizzazione è nel prevalere della tecnica, nel fatto che nel momento in cui non si cerca più l'essenza dell'uomo, ma lo si vede come un meccanismo, non si fa più il suo interesse, non lo si ama più. La responsabilità dell'alienazione dell'operaio allora non è più del capitalista in quanto tale, ma come strumento di un'organizzazione tecnologica del lavoro che vede l'uomo come cosa, non come persona. La divisione del lavoro sta portando alla fine del lavoro, ma la fine del lavoro non è un bene per l'uomo, e produce una pericolosa concentrazione di potere: pochi decidono, e gli altri sono passivi. Sostanzialmente, la colpa dell'alienazione starebbe nella scienza.
Ma anche coloro che decidono subiscono un'alienazione: decidono su strumentazioni tecnologiche di cui capiscono ben poco. Non hanno quindi tutti gli elementi per decidere. Esistono sicuramente anche tecnologi che diventano capi: anche questo è pericoloso, perché concentra molto il potere.

venerdì 19 dicembre 2008

Inattualità dell'arte vera

Mio intervento su Equilibriarte.org :

Io ho fatto una tesi su questo.. il problema è che non si accetta più la gratuità, e la creatività come qualcosa che abbia valore di per sè al di fuori del denaro. Parafrasando Hegel, l'arte nella società borghese è vista come qualcosa di passato, di rispettabile ma fuori moda, a meno che non sia cinica. Cioè, esiste una discrasia tra la dimensione della creatività artistica, che è un comunicare, un esporsi, e il significato speculativo del mercato artistico. L'arte è vista come investimento, quindi la sua valutazione è fatta con freddezza, astraendo dal suo messaggio. Altro aspetto, molti borghesi vedono l'opera d'arte come un oggetto decorativo, da accordare con l'arredamento, senza prendere in considerazione il suo significato più profondo. Anche se non sempre c'è.

lunedì 6 ottobre 2008

Mia tesi di laurea sulla questione della "morte dell'arte"

Guido Ripamonti : Tesi di laurea in filosofia, cattedra di Estetica


Anno accademico 1992 – 1993 - Relatore : Prof. Gabriele Scaramuzza


INDICE


PREMESSA p. 1


CAP. 1 : LA QUESTIONE DELLA “MORTE DELL’ARTE” p.1


1.1 : Una riproposta della questione della morte dell’arte p.1

1.2 : Le implicazioni della questione : la metamorfosi interna dell’arte, dall’emergere dell’avanguardia alla crisi del romanzo, fino ad Adorno p.21

1.3 : Altre interpretazioni della morte dell’arte p.38


CAP. 2 : LA MORTE DELL’ARTE COME PROCESSO EVOLUTIVO DELL’ARTE CONTEMPORANEA IN DINO FORMAGGIO p.45

2.1 : Dino Formaggio e la morte dell’arte in atto: l’interpretazione delle arti contemporanee p.45

2.1a : La linea delle avanguardie in “Le antinomie romantiche e l’arte contemporanea” p.45

2.1b : Morire dell’arte e funzionalità sociale del movimento moderno in “I giorni dell’arte” p.55

2.2 : Ipotesi sulla frattura arte-pubblico come aspetto del divario tra arte e società p.64


CAP. 3 : MORTE DIALETTICA DELL’ARTE O CRISI DELL’ARTE? GLI SVILUPPI DELLE AVANGUARDIE p.78

3.1 : La posizione di Dino Formaggio sulla morte dell’arte: un bilancio critico p.78

3.2 : L’arte e il negativo nella rappresentazione artistica p.79

3.3 : L’arte e il negativo nel rapporto arte-società. La critica marxiana della cultura come sovrastruttura p.84


CAP. 4 : L’EVOLVERSI DEL CAMPO ESTETICO-ARTISTICO TRA MODERNITA’ E POSTMODERNO p.95

4.1 : Una critica del sistema artistico con riferimento alle teorie di P. Burger p.95

4.2 : Teorie sull’industria culturale : la dicotomia Adorno-Benjamin p.97

4.3 : Dall’industria culturale alla società-spettacolo p.101

4.4 : Ipotesi sui destini dell’arte p.102

4.5 : Sistema dell’arte e sfera della pubblica comunicazione p.104

4.6 : Morte dell’arte, nichilismo, morte dell’umanesimo p.114


CAP. 5 : ARTI E COMUNICAZIONE OGGI : DALLA TEORIA ARTISTICA AD UN’ANALISI DEL CONTEMPORANEO P.121

5.1 : La situazione artistica : un’ipotesi interpretativa p.121

5.2 : La società-spettacolo : l’evoluzione socio-politica in rapporto alla sfera estetica con particolare riferimento alla situazione italiana p.126

5.2a : La sfera artistico-culturale p.126

5.2b : La sfera “politico”- progettuale : una proposta p.135

Postilla : sull’opinione pubblica e la libertà di stampa p.140


CONCLUSIONI P.143


BIBLIOGRAFIA P.157


























PREMESSA


Questo lavoro si occupa del problema della morte dell’arte, a partire dalla riformulazione che ne era stata data da Dino Formaggio, che l’aveva descritta come un processo positivo che trasforma l’arte contamporanea. Un’analisi del processo di metamorfosi dell’arte ha tuttavia evidenziato come persista negli estremi sviluppi dell’arte contemporanea un elemento negativo, autodistruttivo. Tale tema è stato variamente trattato in riferimento alla Scuola di Francoforte: Adorno lo connette con la sua teorizzazione dell’industria culturale; Burger, un critico letterario che si rifà a questa scuola, sviluppa una critica del sistema artistico. Il tema dell’industria culturale è poi ripreso e portato alle estreme conseguenze, all’interno del pensiero francese, da Baudrillard e Debord, fino a giungere ad una critica della società dei consumi.
A partire da queste considerazioni, si è arrivati a concludere che, riguardo allo specifico artistico, è necessario superare la fase dell’avanguardia, affinché l’arte abbandoni l’autoreferenzialità e torni a un approccio più contenutistico; in tal modo, essa potrebbe tornare a contribuire alla formazione di una coscienza morale e politica. Per ciò che riguarda invece la collocazione della sfera culturale all’interno della società, constatata una profonda distanza tra i valori umanistici e l’assetto capitalistico, si sostiene la necessità di appoggiare una politica di sinistra per tutelare le attività culturali.


Dino Formaggio , L’idea di artisticità
“ , I giorni dell’arte











Cap. 1 : La questione della “Morte dell’arte”



1.1: Una riproposta della questione della morte dell’arte


Per analizzare la realtà artistica è necessario risalire alla questione da cui Formaggio era partito per impostare la sua visione dell’arte. Nel suo libro del 1962 “L’idea di artisticità” egli fonda la sua analisi su un esame della questione hegeliana della morte dell’arte.
Formaggio sostiene che nell’estetica di Hegel è presente la consapevolezza di una metamorfosi dell’arte. Rifacendosi a una tradizione interpretativa che risale al Romanticismo individua nei passaggi da una forma d’arte all’altra dei momenti dialettici in cui l’arte si rinnova radicalmente. Si tratta di un processo che parte dalla forma d’arte classica.
In contrasto con Croce, sostiene che la morte di cui parla Hegel è una morte dialettica, una metamorfosi dell’essenza artistica. Croce invece, riferendosi alla frase in cui Hegel sostiene che l’arte è da considerare un passato dal punto di vista della sua più alta essenza, identifica ciò con la fine dell’arte. Formaggio ribatte che Croce, anche per motivi di organizzazione teoretica del proprio sistema, fraintende il senso dialettico dell’estetica di Hegel e la congela nell’opposizione dei distinti. Mentre in realtà Hegel, pur tendendo, dal punto di vista delle sue categorie filosofiche, a preferire l’arte classica, propone degli spunti assai illuminanti sull’arte a lui contemporanea e addirittura profetici per l’arte a venire.
Formaggio utilizza la questione della morte dell’arte come spunto per combattere l’estetica idealistica crociana, che aveva già in precedenza iniziato ad attaccare con la sua prima opera, “Fenomenologia della tecnica artistica”. Muove poi da questo tema hegeliano per formulare una sua estetica che riprende l’impostazione dialettica per costruire una teoria relativistica e sdogmatizzata dell’arte.
In tal senso, la morte dell’arte va interpretata come nascita di una nuova artisticità, liberata da alcuni fardelli del passato. In un certo senso, è la nascita dell’idea di avanguardia.
Non ha tanto importanza secondo l’analisi di Formaggio decidere se l’arte sia finita o no, ma vedere l’evoluzione della questione nel tempo e i suoi significati per l’arte e l’estetica. Noi abbiamo introiettato storicamente la morte dell’arte, ma è necessario evidenziarne ancora dei significati.
L’obiezione fondamentale di Croce consiste nell’interpretare morte come fine, annullando il significato dialettico del termine e del discorso, e sostenere che Hegel afferma che l’arte è morta perché la filosofia è uscita dal bozzolo, diventando così l’unica forma lecita di rappresentazione dell’assoluto.
In contrapposizione a ciò, Formaggio nella sua lettura dell’estetica hegeliana evidenzia il significato dialettico del termine “morte” in tutta la problematica hegeliana.
Passa perciò a una rassegna di tutti gli scritti di Hegel, in cui sia possibile riscontrare questa dialetticità. Negli “Jugendchriften”, nel frammento “L’Amore” la morte è vista come una autonegazione cosciente, opposta alla fine come dissoluzione meccanica di un essere non autocosciente. La morte dell’uomo e dell’arte non uccide il suo sentimento, il suo spirito. La morte di un’arte è generata dalla vitalità dell’arte nel suo procedere. Il sentimento dell’amore vale quindi come legge che tende a unificare il mortale stesso, a farlo immortale. La possibilità della separazione rafforza l’identità di un’unità vivente. Mentre finire è il prevalere dell’estraneo sull’io, morire è coscienza della propria individualità e finitezza. La coscienza della vitalità non muore.
Una prefigurazione dell’idea di morte dell’arte è individuata inoltre da Formaggio nella teorizzazione romantica della poesia della poesia o poesia riflessiva.
Egli procede quindi a un’analisi delle differenti forme di poesia riflessiva: Heidegger nella sua conferenza su Holderlin la chiama poesia sull’essenza della poesia e la vede come un ricominciamento dell’essenza poetica. Nella cerchia dell’Athenaeum, Friedrich Schlegel teorizza la poesia trascendentale come poesia che, mentre si rappresenta, si teorizza e che è universale. Unisce la modernità all’universalità dei grandi come Pindaro, Dante, Shakespeare, Goethe. Essa è affine alla poesia “sentimentale” teorizzata in precedenza da Schiller in contrapposizione a quella “ingenua” degli antichi. In essa l’unitaria relazione di ideale e reale è contemperata da una riflessione su se stessa che intellettualizza la poesia unendo all’espressione un momento di riflessione che ne rende più complesso l’impianto.
Schiller nel 1795 aveva pubblicato un saggio “Sulla poesia ingenua e sentimentale” che rappresenta il trait d’union tra le tematiche romantiche e la precedente “Querelle des anciens et des modernes”. L’umanità greca vi è descritta come uno stadio di equilibrio tra chiarezza, sentimento e intuizione. Nello sviluppo storico dell’arte, la ricerca di maggiore chiarezza porta a dissolvere l’unità artistica di natura e di spirito: muoiono l’individuo e l’arte come totalità, per la divisione del lavoro e dei saperi.
L’intelligenza è spinta dall’ampliarsi delle proprie cognizioni a separarsi dal sentimento e dall’intuizione e a procedere per vie separate. Il nesso con le polemiche neoclassiche sta poi nel confronto tra poesia antica e poesia moderna, che approda all’evocazione di una età dell’oro, in cui l’ingenuità dell’antica poesia è andata perduta per eccesso di consapevolezza. V’era una tradizione antica di lamentazioni sulla decadenza dell’arte, a partire dai Greco-Romani. Nasce un mondo sentimentale sospeso tra un non più del divino e un non ancora dell’umano liberato. In “Lettere per il progresso dell’umanità” Schiller descrive il progredire di una chiarezza di conoscenza che abbandona sempre più i piani dell’intuizione e del sentimento. Il maximum di chiarezza teoretica compatibile col calore poetico era stato toccato dai Greci : necessariamente ci sarebbe stata una decadenza successiva della civiltà fino al sacrificio della totalità dell’uomo. Nella “VI lettera sull’educazione dell’umanità” è descritta la legge della formazione umana come un divaricarsi di ragione e sentimento, fino alla divisione tecnologica del lavoro assieme alla divisione e specializzazione dei saperi. Progredisce l’egoismo assieme a una sorta di barbarie con il differenziarsi della società: accenti analoghi a quelli di Hegel.
Analogamente in Leopardi, nello Zibaldone, è descritta la vastità dell’immaginazione antica, in contrapposizione al breve respiro dell’immaginazione moderna, per il suo carattere egoistico e disingannato. I tempi moderni sono dominati dal dispotismo tranquillo dell’interesse e dalla bassezza dei singoli.
Dopo essersi soffermato sulle posizioni di Schiller e di Leopardi, Formaggio torna all’arte trascendentale e alla cerchia dell’Athenaeum, esaminando Novalis. Per quest’ultimo la poesia della poesia o poesia trascendentale consiste in una totale libertà creativa e indipendenza dalla natura : lo spirito poetizza gli oggetti, ponendosi a priori come creatore, regista del proprio spazio artistico.
La scoperta della assoluta trascendentalità dell’arte diviene la scoperta della sua piena libertà, che si esplica in un “vedere” attivo e originario; essa porta alla sua dialettica morte e rinascita nella pienezza della soggettività.
Esemplare è l”Enrico di Ofterdingen”, dove la poesia della poesia diventa poesia di sogno : luogo sia dell’originario che della visione del conoscere. Predomina un simbolismo che allude a un ricominciamento del mondo e a un significato poetico della morte come palingenesi della vita.
Formaggio si avvale dei citati esempi per fornire un orizzonte culturale alla sua interpretazione della morte dell’arte. Ritiene infatti necessario inserirla in una tradizione interpretativa, che parta dalla querelle antico-moderno per giungere fino alle più avanzate poetiche dell’avanguardia, in contrapposizione alla linea che connette Croce all’estetica classica baumgarteniana, a sua volta connessa con le teorizzazioni classiciste rinascimentali e barocche. Si tratta in sostanza di liberare l’artisticità da una concezione dogmatica della Bellezza, legata all’ideale classico di una bellezza immobile, prefissata.
Formaggio riprende poi ad analizzare i testi hegeliani, alla luce della svolta artistica romantica e delle analisi sociali ad essa seguite. Passa così alla “Fenomenologia dello spirito”, dove l’arte è vista ancora come un momento totalmente interno alla coscienza religiosa. Gli Dei se ne sono andati, le opere d’arte giacciono come frutti staccati dall’albero del mito : lo spirito si separa dalla naturalità per farsi autocoscienza. Nasce la commedia, in cui l’umano raggiunge una sua prima forma di autocoscienza, ma nel contempo sente il distacco dal divino mitologico come una perdita : Dio è morto: inizia qui il cammino dello spirito che porterà alla religione rivelata, ma il discorso artistico cessa, riassorbito nella dialettica dello spirito religioso. L’artistico riaffiorerà solo nell’”Enciclopedia”. E’ qui opportuno analizzare i passaggi che correlano la nascita del fare artistico e il processo di liberazione della coscienza umana. La dialettica servo-padrone percorre il passaggio dall’opera d’arte astratta all’opera d’arte vivente fino all’opera d’arte spirituale, che a sua volta è tripartita nel passaggio dall’opera d’arte epica, alla tragedia e alla commedia. Infatti nella successione di queste forme si ha una progressiva presa di coscienza di sé e del mondo da parte dell’uomo. Si esplicita a questo punto un processo di morte dell’arte già in atto : si allontana la dimensione mitico-unitaria nel modo di concepire e strutturare l’opera d’arte, guadagna terreno l’indipendenza del soggetto creatore. Punto saliente della teorizzazione è che l’opera è prodotta dalla coscienza e fatta da mani umane, per cui si produce un’opposizione tra concetto-opera e concetto-soggetto creatore: l’opera prevale sull’artista, che cercherà di arrivare a inglobarla nella propria soggettività; il che è ciò che accade nell’arte contemporanea, nei processi di poesia della poesia, di arte dell’arte. La morte dell’arte opera quindi sin dall’inizio come dinamica creativa dell’artista, che provocherà tutte le rivoluzioni artistiche.
Nell’”Enciclopedia delle scienze filosofiche”, del 1817, l’arte è vista come un trionfo della forma come soggettività. Nei paragrafi 561, 2, 3 sono descritti i passaggi dall’arte simbolica alla classica alla romantica. Il momento artistico acquisisce maggiore autonomia, ma non si separa dal momento religioso : l’arte deriva dal momento religioso e muore in esso. Si delinea la progressiva morte dell’arte per un modo dell’inadeguatezza dell’idea e della figurazione. L’arte bella della grecità si associa a una spiritualità concreta, libera ma non assoluta. L’arte esplica una forza di liberazione dalle schiavitù naturalistiche, non dissimilmente dalla filosofia : l’antropomorfismo, la soggezione servile, l’idolatria. Hegel qui per la prima volta compiutamente teorizza il passare dell’arte in filosofia, la sua morte filosofica. Il negativo dell’arte si trasforma in pensiero.
Nelle “Lezioni di estetica”, l’arte acquisisce una autonomia sistematica e una trattazione autonoma. Anche qui, Formaggio individua i temi riguardanti il processo di morte dialettica dell’arte, all’interno di una teorizzazione e classificazione generale. Il tema emerge in due caratteristiche del trattato : il morire dialettico dell’arte nel trapasso storico da una forma d’arte a un’altra; e, all’interno dei paragrafi sulla dissoluzione della forma d’arte romantica, in quei passaggi che descrivono il mutare dell’essenza dell’arte, il suo perdere di unità, l’insinuarsi di un momento speculativo che contribuisce a distruggere quelle forme che sembravano determinarne la specificità.
Rispetto a Schelling, per cui l’arte è la più alta forma dello spirito, per Hegel l’arte è subordinata alla finalità dominante della verità e del pensiero.
Nell’epoca di Hegel, “l’arte è e rimane per noi, vista nella sua destinazione suprema, un passato”. L’ideale di arte come totalità che intenzionalizzava l’arte greca è ormai definitivamente tramontato, anche nel residuo che ne serbava l’era cristiana. Infatti è in atto un processo per cui il pensiero tende a staccarsi dalla sensibilità. L’arte classica diventa per noi oggetto di rappresentazione distaccata, non possiamo più partecipare in prima persona della sua ingenua adesione alla realtà. Questo perché l’arte si dissolve in pensiero; è in atto un processo di dissoluzione-inveramento del sapere immediato in sapere mediato e scientifico, della vita in giudizio. Nell’arte le forme, da organiche e viventi diventano meri oggetti di rappresentazione. Qui Hegel riconosce esplicitamente il suo debito con le tematiche romantiche e, in particolare, schilleriane.
Formaggio sottolinea poi quei passi in cui la vera causa della morte dell’arte bella è individuata nel prevalere dell’utilitarismo legalitaristico borghese e dei suoi meschini interessi sulla disinteressata libertà della gioia artistica. Il potere triste del concetto indurito, del conformismo legalitario e della regola generale uccide la spontaneità della vita nel suo traboccare creativo al di là delle norme. Ma qui bisogna precisare che Formaggio, saltando alcuni passaggi, collega direttamente la fine dell’arte classica con l’avvento di un’arte già postromantica e del nuovo ordine borghese. Giova allora ricordare che per Hegel nell’arte pagana l’assoluto si risolve nell’immanenza della realtà rappresentata; poi, nell’arte cristiana la verità è posta in una trascendenza al di là del reale apparente: l’arte decade a verità inferiore, inizia già il processo di scissione tra rappresentazione e realtà.
Bisogna dire che qui Formaggio inizia a ribaltare marxisticamente la dialettica hegeliana. Si veda infatti la descrizione del reciproco condizionarsi e riflettersi della società nel pensiero (la legalità astratta nell’astrazione dei concetti) e del pensiero nella società : il passaggio della rappresentazione artistica dall’oggettivo al soggettivo è interpretato più come un fenomeno sociale che non come una dinamica interna allo spirito.
L’utilitarismo particolaristico e il conformismo legalitario dissolvono l’ideale cavalleresco dell’uomo e il rapporto più armonico con l’arte che allora esisteva. Ma qui è l’ordine borghese, per Formaggio, che determina questa contrapposizione, non il movimento dello Spirito.
Formaggio parla di “oggettività cosale degli ordini borghesi” che svuotano di senso gli ideali e riducono l’individuo da rappresentazione totale e vivente dell’ordine sociale a puro “membro” inquadrato, a malinconico non ingranaggio persuaso e non persuaso ingranaggio della legalità esterna. Perciò, l’età contemporanea è vista da Hegel come generalmente non favorevole all’arte. Ma, precisa Formaggio, è soprattutto l’arte come conoscenza del divino che è passata. Ciò che muore è solo un modo dell’arte : l’ingenuità religiosa dell’antica arte.
Le simpatie della cultura hegeliana vanno all’arte classica, ma non ne è inficiata l’evoluzione artistica. Muore il valore universale e di orientamento ideale per la società dell’arte, che non è cosa da nulla. Nasce un’arte più indiretta, più comprensibile attraverso la riflessione che attraverso la sensibilità. La nostalgia romantica dell’arte classica è inglobata nel sistema, diventando momento della dialettica delle forme artistiche, della loro dissoluzione-inveramento. E’ riferita da un lato al momento dialettico della dissoluzione dell’arte classica, dall’altro al terminare della forma d’arte romantica. Ma, sullo scorcio della sua fine, essa raggiunge la massima autoconsapevolezza.
Formaggio passa quindi ad esaminare più in profondità la struttura teoretica delle “Lezioni di estetica”. Afferma innanzitutto che quella hegeliana è un’estetica del contenuto, il quale si identifica con l’Idea nel suo cercarsi storico; esso si pone in tensione verso la forma, generandola e bloccando storicamente un determinato contenuto con una determinata forma. Ma la costituzione e dissoluzione delle varie forme artistiche è generata dal moto del contenuto. Nel momento simbolico il contenuto è naturalistico, le forme sono gli oggetti naturali e le persone; nel momento classico il contenuto è l’individualità spirituale, la forma è l’attuale presenza umana, ma dominata da un destino necessario; nel momento romantico il contenuto è la spiritualità soggettiva, che si esplicita nella rappresentazione dell’interiorità, che però ha forma sempre accidentale. Nel momento in cui la forma dà segni di crisi, inizia a trasformarsi fino al punto in cui anche il contenuto dovrà trasmutarsi. Sorge così una nuova forma d’arte, dalla dissoluzione della precedente. Formaggio individua l’elemento che catalizza la dissoluzione nella “casualità” (Zufalligkeit); si tratta dell’irrompere nella rappresentazione di elementi che risultano estranei all’equilibrio complessivo, e che conducono a una rottura della forma precedentemente conchiusa. Tale fenomeno si è, a mio parere, fatto macroscopico nell’arte contemporanea. Un oggetto estraneo si impone all’attenzione dell’artista e questi, nel tentativo più o meno cosciente di inserirlo, finisce col determinare una nuova forma.
L’arte si dissolve per reinverarsi in una nuova forma, finiscono invece le singole forme storiche, come si vede dai paragrafi “La fine della forma d’arte classica” e “La fine della forma d’arte romantica”. Si tratta di un momento particolare della dialettica del procedere dello spirito.
Con la dissoluzione dell’arte romantica, la casualità tende a prevalere su tutto il campo; un mondo di oggetti si sostituisce al mondo dell’eticità e del divino, che era più direzionato, finalizzato. La prosa della nuova realtà prende il posto della grande poesia. Sulla scena irrompono nuove masse plebee e sconsacrate.
L’elemento di casualità agisce sia nella coscienza che nella rappresentazione artistica, minandone la necessità interna.
Ma il processo di dissoluzione era cominciato molto prima. La prima importante dissoluzione era stata quella dell’arte classica : la morte degli dei greci e la nascita della soggettività artistica. Già qui si ha un travaglio che porterà alla prima forma dell’arte romantica : l’arte cristiana, in cui alla totalità dell’arte e dell’universo greco si sostituisce, attraverso la rivelazione, la trascendenza cristiana. Secondo la periodizzazione hegeliana, si è allora già verificata una prima scissione nell’arte : come rappresentazione del sensibile, non può pienamente cogliere la verità, che la trascende. L’arte diventa allora immagine imperfetta e comincia a volgersi verso un punto di vista più soggettivo, meno legato all’”obiettività” di una piena esplicazione del reale nel sensibile. L’arte, in realtà, qui ha già perso in buona parte il suo rapporto privilegiato con il divino. Ho voluto fare questa precisazione perché mi sembrava eccessivo collegare direttamente la fine dell’arte “ingenua” greca con il soggettivismo postromantico. Formaggio forse dialettizza due realtà non così direttamente connesse. Enfatizza un contrasto tra tempi antichi e tempi moderni. Ma comunque, cerca poi le radici della crisi della forma d’arte romantica nell’ironia ariostesca e cervantesca. Ne individua l’evoluzione nel nascere di un’arte borghese, più individualistica, il teatro shakespeariano, con i suoi violenti accostamenti e l’unificazione di problematiche “alte” e “basse”. Qui la “Zufalligkeit” si manifesta in parte in episodi di contorno a un fatto più importante, in parte in vicende più popolari, prosaiche, che si inseriscono nella narrazione come nuclei totalmente separati. La vita quotidiana assurge così a protagonista non nel suo legame con l’eticità e il divino, ma nella sua prosaicità e frammentarietà.
La prosa della nuova realtà porta all’emergere della nuova forma del romanzo, che trova in Goethe l’ultimo momento di compromesso con la visione teocratica. Ma la morte dell’arte qui agisce come morte della poesia, della parola “alta” sostituita dal nuovo protagonismo del prosaico; il quale esprime il sopravvento dell’azione umana costruttiva sulla contemplazione religiosa del mondo; la casualità è qui necessitata dalla storia. Hegel, pur cogliendone acutamente l’insorgere, preferisce un’arte più vicina all’Assoluto.
La casualità manda il vecchio ordine in rovina. La nuova forza del caos si accompagna a un’immagine negativa di frantumazione, di disgregazione. Lo nota Lukacs nei saggi su “Goethe e il suo tempo”, in particolare sul Faust e il Meister; Goethe rappresenta il punto di divisione tra l’arte vecchia e la nuova: tra un’arte del bello sostanziale e un prevalere della drammaticità nel romanzo come racconto del quotidiano. Tra il primo e il secondo Faust si scinde l’unità poetica di un mondo, e Goethe tenta di ricrearlo filosoficamente. Di questi tentativi “titanici” di ricreazione unitaria di un mondo se ne vedranno molti nei romanzi, nei poemi e in musica.
Dal punto di vista della soggettività, la dissoluzione dell’arte romantica modifica la visione del mondo nel senso dell’opinione, dello humour e della genialità soggettiva. Ciò porta l’arte a una mortificazione derivante dalla separazione tra mondo della forma e mondo del contenuto; l’arte sembra qui essere realmente in pericolo. E in effetti qui l’arte sembra più decisamente riversarsi nel pensiero come modo più alto di verità e suo sviluppo più conseguente. Per Hegel è questo il momento in cui l’arte muore per la coscienza, per lo spirito. Ma come si verifica, nel procedere artistico, questa separazione tra forma e contenuto? E’ necessaria una verifica più specifica.
Osservando tutta l’arte, si vede come dal Romanticismo all’arte contemporanea sia in atto un movimento di negazione dell’arte da parte di se stessa. La storia delle poetiche dal Romanticismo ad oggi è in buona parte la storia di questo processo.
Per Hegel l’autonegazione dell’arte consiste nel processo per cui la coscienza, nella ricerca di una verità più certa, arriva a mettere in discussione le strutture fondamentali del comunicare artistico, nel loro stesso modo di porgersi.
Si separano l’interno e l’esterno, la forma e il contenuto, su azione dell’accidentalità. Queste polarità si allontanano sempre più, variando poi al loro interno in modo sempre più casuale, indifferente, si pensi a Picasso, al suo continuo giocare con le forme e i linguaggi artistici. Questi movimenti di separazione si riflettono sul piano concettuale: l’arte verifica concettualmente questo processo, lo sperimenta e descrive. Essa sperimenta la propria autodistruzione e raggiunge il massimo di autoconsapevolezza. Lungi dal morire, l’arte sperimenta nuove forme di artisticità, nuovi possibili.
Per Hegel, dall’arte romantica sarebbe sorto un processo di autoconsapevolezza soggettiva infinita, che avrebbe segnato il tramonto delle arti belle con il loro presupposto divino. Un’artisticità carica di negativo avrebbe sostituito alla bellezza la verità delle sue strutture, del suo fare. In essa la progressiva separazione di soggettività e oggettività avrebbe portato a un radicale rinnovamento dell’arte.
Per analizzare lo sviluppo storico di questo processo, Hegel considera tre aspetti dell’arte : 1) L’evoluzione delle arti imitative della natura. 2) Le caratteristiche e la dinamica dello humour soggettivo, aspetto fondamentale e innovativo dell’arte a lui contemporanea. 3) Da quale nuovo punto di vista l’arte possa ancora porsi.
Dell’arte rappresentativa, Hegel descrive ciò che presenta i sintomi del nuovo : la pittura olandese. Infatti essa si concentra sulla descrizione dei singoli oggetti: anche qui i mezzi di rappresentazione diventano fini a se stessi, conta soprattutto l’abilità soggettiva dell’ artista. E questa è la prima arte totalmente laica, che rispecchia la mentalità della borghesia nascente. La soggettività dell’artista nel suo manipolare la tecnica artistica si rivela l’elemento di trasformazione decisivo. E’ messa in atto, infatti, una rappresentazione fine a se stessa degli oggetti quotidiani; l’arte non intenzionalizza più il senso delle cose o dell’uomo ma i mezzi di rappresentazione. Il primo mezzo di espressione dell’autoreferenzialità diviene così l’ironia, lo humour.
Si torna poi ad analizzare le trasformazioni dell’arte romantica. L’artista domina ogni contenuto, diventa totalmente padrone della sua facoltà di scelta; si libera soggettivamente attraverso l’ironia e la sua educazione diventa universale e svincolata da un ambito geografico. I contenuti e le forme si relativizzano. L’artista si comporta verso il suo contenuto come un drammaturgo: il suo bagaglio d’immagini e di modi figurativi gli è indifferente, ma utile a conformare l’opera muovendo i diversi contenuti secondo un gioco esterno, registico. Una finzione della finzione che prefigura le ironie sperimentali e il citazionismo di Picasso, Joyce e Strawinsky.
Quest’ arte ha come oggetto una diversa verità : più interna, formale. E’ lo humour soggettivo che distacca la rappresentazione del quotidiano dal legame col divino, che distanzia; e costringe l’arte ad andare oltre se stessa. Il nuovo modo, caduto il divino, è il modo dell’umano; ma un umano laico, finito, non più “umanistico” nel senso classico. Da un lato, l’uomo si concentra sulla propria interiorità, dall’altro su un presente puramente concreto. E solo il presente artistico può vivere: periscono i singoli modi artistici, non l’artisticità.
La commedia e l’umorismo finiscono l’arte perché ne definiscono un confine ontologico e geografico, non una fine cronologica, la delimitano. L’interiorità si ritrae dal mondo oggettivo in se stessa. Si dissolve l’accordo tra la vita come sfera dei valori universali e la vita del particolare oggettivo. L’ironia come finitezza, il riso universale sono il segno della nascita della nuova soggettività.
Fondamento dell’arte è la conciliazione dell’assoluto e del sensibile, ossia del vero e del possibile; la commedia è il confine del dissolvimento dell’arte. Il comico è la presa di coscienza della negatività della separazione tra l’assoluto come individualità vivente e la vita particolare, materiale e critica. La tragedia esprimeva l’assoluto nel suo esistere. Poi gli dei scendono nell’arena della vita, e l’individua soggettività diventa dio: alla tragedia succede la commedia.
Bisogna dire che qui Formaggio analizza la dialettica della morte dell’arte associando la morte dell’arte classica con quella dell’arte romantica, per ricavarne un concetto complessivo più ricco e multiforme.
Questo meccanismo di disalienazione porta a progressive prosaicizzazioni dell’arte; Goethe passa in Balzac oppure in materia filosofica; dalla poesia romantica si passa alla “Fenomenologia” hegeliana e alla rivoluzione marxista.
L’arte viene a coincidere con la storia conciliata del mondo, formando una comunità vivente armonica, nel segno del bello e del vero.
Non è perciò affermata una fine dell’arte, però è indicato un pericolo di disgregazione. La contraddittorietà, la forte conflittualità presente nello sviluppo dell’arte dal Romanticismo ad oggi sarebbe un suo elemento strutturale: non una degenerazione, ma un nocciolo di vitalità, un’attitudine a nuove riproposizioni.
Quali sono le conseguenze di questo processo? L’esperienza artistica passa dal piano dell’immediato a quello del mediato. Si passa dalla spontaneità alla critica, dal mito alla tecnicità, dall’unitario al separato. Dal senso generale ai significati particolari, che iniziano a porre il problema del nichilismo.
Formaggio vede questa perdita del senso generale più positivamente di Hegel, perché per la sua formazione banfiana, con una forte componente marxiana, tende a identificare l’età della tecnica con l’età dell’uomo sociale e della sua possibile liberazione.



1.2: Le implicazioni della questione: la metamorfosi interna dell’arte, dall’emergere dell’avanguardia alla crisi del romanzo, fino ad Adorno


La consapevolezza di questo processo di oggettivazione si fa strada in Herder e Schiller. L’arte entra in un processo di autocoscienza della propria verità, della propria struttura interna comunicativa. Ciò porta a dissoluzione la grande poesia nel suo rapporto con il divino, il suo sistema formale e alcuni generi artistici. De Sanctis aveva detto: “Vogliamo non solo godere, ma essere consci del nostro godimento”.
Il godimento immediato così muore, come morte dell’esteticità alienata, del Bello naturalistico, e dell’annullamento contemplatore. Muore l’estetica mistica : a partire da Voltaire e Diderot fino all’iconoclastia estetica delle avanguardie. Nel Dadà e nel Surrealismo trionfa l’arbitrario. Breton riferendosi a Hegel sostiene in “Misère de la poesie” che la libertà del soggetto s’instaura anche sull’indifferenza contenutistica. Un elemento ironico e distruttivo agisce di concerto con la casualità nel gettare in avanti l’arte contemporanea, verso la verità di un significato denudato delle belle forme. Ne sono esempi l’opera di Picasso, l’espressionismo nordico, il costruttivismo russo e il futurismo italiano nonché le loro dichiarazioni di poetica.
Il Romanticismo si tramuta in Realismo, il realismo si trasforma in Impressionismo come luogo della contraddizione fra scientismo e naturalismo, l’Impressionismo passa in Espressionismo e in Cèzanne; da Cèzanne si arriva al Cubismo, alle polarità Espressionismo-Astrattismo e Dadaismo-Surrealismo. Dall’Astrattismo si passa agli astrattismi, concretismi, informalismi: è un moto dalla razionalità all’inconscio, dalla forma astratta all’informe magmatico che ben esemplifica la dualità tra vita e forma. La legge di movimento di queste trasformazioni è il negativo come consapevolezza, che travolge le forme passate per purificare l’arte. E’ un processo di morte dell’arte la causa prima delle rivoluzioni artistiche.
Dalla naturalità ingenua e contemplativa si passa alla soggettività critica e storica. E’ la dialettica servo-padrone, che era un movimento verso l’autocoscienza, la libertà, la verità, applicata alla coscienza artistica. Il suo significato è il generarsi di una sempre più autonoma idea di artisticità, che opera dentro le strutture artistiche. Si passa dal Bello intenzionante al vero come autointenzionalizzazione dell’arte. E’ un processo che avviene soprattutto in pittura, ma si estende anche alla poesia, la musica, l’architettura, sempre all’interno delle polarità antinomiche romantiche.
La vicenda dell’artisticità riverbera poi dialetticamente sulla critica e sulla filosofia. Pone l’esigenza di una ricognizione fenomenologica e di una sdogmatizzazione dell’estetica. Essa si pone come legge costitutiva eidetica di una teoria dell’arte che integri tutte le esperienze e sperimentazioni artistiche senza forzarle.
La nuova estetica si pone come una teoria generale della costituzione sensibile dei mondi possibili, che riconosce un’autonomia sfeticizzata al campo dell’esperienza artistica.
Si pone così un’idea di artisticità non definitoria e antientificante, che elimina la domanda : “cos’è l’arte?”, limitandola al valore puramente pragmatico delle singole poetiche. Si separa così il piano dell’estetica filosofica dal piano pragmatico delle poetiche e della critica, e si costituisce una scienza fenomenologico-trascendentale di due mondi: l’estetico e l’artistico.
Un’altra conseguenza della morte dell’arte è la morte della sfera mitica e “divina”. Essa è legata al tema della morte della poesia e delle muse. Vico ne parla in “Origine, progresso e caduta della poesia”, dove prefigura lo schema hegeliano. La morte della poesia è vista come la morte di un’età dello Spirito. Si assiste alla progressiva mistificazione dei contenuti nella poesia “alta”, per cui alla fine il profano e il privato escono allo scoperto e la distruggono, le Muse abbandonano il Parnaso.
In “De antiquissima Italorum sapientia” si discute della vita e della morte della poesia come mito. Viene sviluppata una dottrina del mito come conoscenza corporea e percettiva e come sentimento. Una teoria della percezione e dei piani intuitivi fa scaturire l’identificazione tra poesia e mito come “universale fantastico”.
C’è antinomia tra il mondo del corpo come intelligenza intuitiva e il mondo della riflessione, dell’analisi. La scienza riflessiva, per generi astratti, dissolve l’arte come conoscenza per generi concreti e figurali, incarnati.
La riflessione critica soffoca la poesia sul nascere; ma se la poesia s’è potenziata nel suo accentramento del reale, s’è autocentrata, allora la critica può essere utile alla poesia, perché può aiutarla nella ricerca del vero. Infatti, anche la poesia è ricerca di un vero, che è migliore: il vero ideale, immaginale. Sono antitetiche la sterilità della sottigliezza analitica e la fecondità dell’acutezza ingegnosa, corporea e poetica che scopre nessi imprevisti tra cose dissimili.
Il mito accerta il vero. Muore la dimensione mitico-divina, sopravvive la dimensione linguistico-figurale del mito, ma s’indebolisce l’immaginazione.
In “De nostri temporis studiorum ratione” si nota la nascita di nuove figure poetiche sorte da nuove spiegazioni scientifiche della realtà, come “formato dal sangue” per generato, “ombra della terra” per notte. La poesia divina s’impoverisce a causa della coltivazione separata delle arti, staccatesi dalla filosofia e frantumatesi. Vico si riferisce ad oratoria, poesia, storia, ma adombra la teoria schilleriana della separazione dei saperi come causa di distruzione dell’arte, che darà una risposta alla querelle sugli antichi o i moderni. Viene poi menzionata la teoria del mito come impossibile credibile, che è comunque fondamento di conoscenza, anche se ha perso la dimensione divina; che però, secondo la teoria dei ricorsi, torna ciclicamente in certe forme, assieme alle identità e al senso
….ibidem…….

Ma per Formaggio la cultura contemporanea ha tentato in vari modi, e fallito, di ricostruire rinnovato il mito. E’ una storia che si snoda da Rimbaud a Joyce a Picasso.
In Rimbaud, nel percorso che va da “Le bateau ivre” a “Une saison en enfer”, è combattuta un’ultima lotta faustiana in nome del mito dell’eroe, prima della fine delle illusioni.
Joyce tenta una scienza sperimentale del mito: una sorta di sua casistica e una ricostruzione sperimentale e frammentata di esso. Egli disseziona i grandi miti, tenta la parola iniziale dei canti epici, ma è solo uno scorrere di ricordi e di immagini, frantumato nell’”Ulysses” e nella “Finnegans Wake”; è messa in atto una dialettica del mito.
Con Picasso si fa un ulteriore passo in avanti, passando all’ironia sulla nostalgia del mito. Si rigenera il mito come mito tolto. Picasso è fra i distruttori dei vecchi miti, ma la sua ironia passionale testimonia un rimpianto del valore umano, aggregativo del mito. Celebra un’umanità più libera e terrena, che si muove però in un paesaggio più desolato, senza più miti, arido; e la sua terrestrità si riconnette alla memoria degli antichi miti fondativi, primigeni, ma per affermare la nuda giustizia e libertà dell’uomo.
Esistono poi dei saggi, che lamentano la distruzione del mito come autodistruzione dell’arte, Formaggio ne prende in considerazione tre. Il primo, rivolto alle arti figurative, è dello storico dell’arte Hans Sedlmayr e s’intitola “La rivoluzione dell’arte moderna”, del 1958. L’arte tenderebbe alla purificazione, alla rarefazione. Muore il plastico-ornamentale in architettura. La pittura (ma anche la scultura e la musica) va verso l’astrazione. Questo per un assoggettamento a ideali tecnico-scientifici; essi, assieme alla follia e all’automatismo dei Surrealisti, al bisogno di originario dell’Espressionismo e al processo “demoniaco” di autoconsapevolezza, rappresenterebbero le intenzionalità distruttive dell’arte contemporanea.
Conseguirebbero inoltre da idolatrie sostituitesi al morto mito divino: l’estetismo, lo scientismo, il tecnicismo e l’irrazionalismo come false coscienze di un’epoca.
L’estetismo rappresenterebbe la sostituzione dell’arte a Dio; ma ciò porta a un vuoto che lo apparenta al nichilismo.
Nello scientismo, per amor di purezza l’arte si nega in soggettività scientifica.
Il tecnicismo rappresenta il tentativo dell’arte di confondersi con la tecnica, invece di esserne un modello.
L’irrazionalismo rappresenta la radicale contrapposizione dialettica al morire dell’arte in consapevolezza tecnico-scientifica.
Tutto ciò condurrebbe a un oltrepassamento dell’arte, ben simboleggiato da due gesti, già al di fuori dell’arte per Sedlmayr: il gesto di Duchamp e il gesto di Malevich. Essi sarebbero decisioni latenti dell’inconscio dell’epoca. Duchamp isolò oggetti prescelti in ambienti estranei, dandogli così paradossalmente la sacralità dei feticci.
Malevich dipinse il quadrato nero su fondo bianco dandogli il valore di quadro; diede realtà concreta alla forma assoluta, come cosa appartenente solo allo spirito umano. Duchamp avrebbe creato la cosa assoluta, Malevich la forma assoluta. E l’arte sarebbe morta per polarizzazione feticistica dell’oggetto e del soggetto. La critica e la storia dell’arte hanno tentato di rilevare questi fenomeni, ma sono effettivamente cadute in crisi per una confusione in atto tra esteticità, formalità, artisticità.

giovedì 21 agosto 2008

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lunedì 11 agosto 2008

Riflessione

Si parla tanto dell'ingiustizia del capitalismo. Ma esso ha una sua giustificazione interna: esso è l'ipostatizzazione della lotta per la vita. Il vivere per il denaro, per il consumo è l'esagerazione della lotta primigenia con la caccia, con l'agricoltura per la sopravvivenza. Solo che la lotta con la materia è stata resa astratta : il denaro è il mediatore di tutto, e il valore di scambio ha sopravanzato il valore d'uso, anche se anche questa è un'astrazione, ma rende l'idea. Da sviluppare

Porre limiti al controllo sociale

Motivazioni: la nostra esistenza quotidiana è fatta di continui controlli, di continui cambi di condizioni economiche, aumenti di prezzi unilaterali soprattutto da parte di enti statali e parastatali, a cui non possiamo replicare. Uno dei fenomeni più macroscopici è la piaga dell'usura, perpetrata spesso anche dalle banche, che non sono certo degli enti onesti. Le banche poi continuano a sfornare le loro modifiche unilaterali delle condizioni, formulate con linguaggio spesso oscuro.
Inoltre le tecnologie, soprattutto digitali, istituiscono continuamente nuove forme di controllo delle azioni individuali al limite della legalità. Non è ora di porre una fine a queste tendenze involutive?
Auspico un movimento trasversale, più di sinistra ma che vada dalla sinistra alla destra, che riunisca tutti gli oppressi, schiacciati dal sistema economico, che oggi sono numerosi. Oggi esistono nuove situazioni a rischio, non inquadrabili secondo i vecchi schemi della sinistra, che non hanno una voce. Ho avuto qualche simpatia per il movimento di Grillo, ma ha dei grossi limiti, tra cui l'eccessiva dipendenza da Internet, che è proprio una delle cose da cui bisogna liberarsi per tornare a una vera aggregazione.
Sulla sicurezza, però, non sono contrario al tentativo di controllare di più gli extracomunitari. Non sapete che spesso siamo lo zimbello di tutti gli stranieri? Nei veri paesi multiculturali, lo straniero sa che deve rispettare la legge, qui non ancora. Siamo un popolo indisciplinato, con buona pace della sinistra, dobbiamo far rispettare le leggi a quelli per imparare a rispettarle anche noi.
Che poi la legge, in Italia, sia applicata a discapito dei deboli e non dei delinquenti e dei corrotti, purtroppo è un fatto. Per questo bisogna ritornare alla politica, esercitare un controllo su istituzioni locali e nazionali.
Bisogna anche uscire dalla logica delle ideologie, degli schemi, e guardare al futuro. Il progressismo si misura sul futuro, non sul passato. Noi dobbiamo fronteggiare la grande carenza di materie prime e energie, e adattarci. Elaborare il cosiddetto modello di economia sostenibile. La società oggi sembra una cellula impazzita: bisogna arrestare questa tendenza, trasformare e ridurre i consumi.